sabato 10 settembre 2011

LICENZA DI LICENZIARE

Tra Facebook e il mondo della produttività e del lavoro c'è un rapporto di vero amore&odio. Di amore, perché è anche un ottimo (va detto) strumento di marketing utilizzato da grandi e piccole aziende per promuovere e comunicare, nonché per tracciare profili sempre più accurati dei propri clienti, anche se si utilizza uno strumento "esterno" ai brand stessi (a questa cosa si fa fatica a trovare una logica, anche se a pensare male poi un perché lo si può sempre trovare). E di odio, perché i "pesci piccoli" (ossia i semplici lavoratori) finiscono per essere beccati con le mani nella marmellata digitale quando in realtà dovrebbero muovere l'economia, anziché timbrare solamente il cartellino ed effettuare il login. Capita quindi che qualcuno paghi a caro prezzo la sbirciatina sul vostro social network preferito, al punto tale da essere licenziato in tronco - e per di più per giusta causa. Sul sito web de Il Sole24Ore si parla dei primi licenziamenti avvenuti in Italia per colpa di Facebook, anche se la notizia di fatto non è una novità perché fatti molto simili sono ormai all'ordine del giorno. Quel che fa riflettere è lo stralcio di motivazione di una sentenza collegata ad uno di questi eventi, e riportarla anche in questa sede certo non fa male. La decisione, che riguarda in realtà una causa relativa ad offese pubblicate su FB, recita testualmente: In definitiva, coloro i quali decidono di diventare utenti di "Facebook" sono ben consci non solo delle grande possibilità relazionali offerte dal sito, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi si inseriscono: rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto. 

"Ben consci"? "Accettato e consapevolmente vissuto"? Ho la vaga impressione che la giurisprudenza del futuro vivrà di screenshot di bacheche e status update.

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