venerdì 6 luglio 2012

AGENZIE (STAMPA) DI RATING

Qualità dell'informazione, questa chimera. Da che mondo è mondo la ricerca della conoscenza è insita nell'uomo (curioso), e il Web altro non è che la più grande espressione della sete di sapere mai esistita finora. Colonna portante della rilevanza di una notizia è senza dubbio il giornalismo, che fa della ricerca e dell'attendibilità delle fonti un fondamento imprescindibile. In realtà i cari vecchi quotidiani si sono dovuti adattare proprio all'esplosione dei media digitali, poiché l'allargamento della base di utenti raggiungibili non è coincisa forzatamente con la crescita dei profitti, anzi: il cartaceo - si dice - è sempre più in crisi, e bisogna fronteggiare la situazione con portali sempre più aggiornati, sempre più connessi, sempre più vicini all'utente.
Capita dunque che "dover fare notizia" ventiquattro ore al giorno (anziché una volta al giorno, come accade per i tradizionali quotidiani) si trasformi in una caccia all'informazione a tutti i costi che talvolta ha portato ad un decadimento della qualità dell'informazione: un tweet non verificato è un'informazione veloce, non necessariamente precisa. Non sono giornalista, ma un discreto fruitore dei servizi di informazione: sarà una visione nostalgica, ma proprio questa apertura ai social media ha portato a considerazioni un po' critiche o quantomeno a dover accorgersi che in effetti anche il giornalismo è un po' cambiato.

Ecco dunque che notizie come la classifica stilata dalla società Innova et bella dei quotidiani più virtuosi in fatto di numero di like su Facebook contribuiscano ad indicare che effettivamente l'oggetto dell'attenzione non è più l'informazione, ma i numeri puri. Insomma, se Corriere.it e LaStampa.it si fanno (giustamente, a questo punto) belli per essere considerati tra i migliori quotidiani in fatto di like, allora vuol dire che evidentemente ad oggi è la quantità che conta, e non la qualità. C'è anche una classifica a suon di vocali: sulla falsariga delle agenzie di rating che valutano gli Stati (ossia dei privati che di fatto rappresentano la variabile impazzita tra la sopravvivenza e la "morte" di una nazione o di una società - e non sono mica infallibili, va detto), i nostri quotidiani principali si beccano una bella A. Cosa vuol dire? Che in quanto a rapporti con il popolo del Web sono al passo con i tempi: curano bene i profili societari su Facebook e Twitter, hanno una app specifica per carpire i dati degli ut...ehm, per offrire loro un servizio personalizzato, e - udite, udite - hanno più like che copie cartacee vendute. Quest'ultimo dato è assolutamente sproporzionato rispetto ad altri paesi: insomma, in Italia è molto più facile cliccare su mi piace anziché aprire un quotidiano. Delle due, l'una: o gli italiani si sono scoperti grandi utenti digitali, oppure il solito uso apatico dei social ("clicco, tanto uno più o uno meno non fa differenza") è sintomo della decadenza qualitativa di cui sopra. Il punto è che tutto ciò è fonte di vanto dei protagonisti: probabilmente il tornaconto numerico conta più dell'offerta proposta. Il vecchio giornalismo ringrazia, e un po' si rivolta nella tomba.

2 commenti:

Asha ha detto...

Il mercato cambia in continuazione, caro Kikkuzzo, e bisogna adeguarsi.
Certo che conta anche il numero dei mi piace. Secondo l'opinione popolare i numeri hanno in sè una oggettività e una autorevolezza che le parole non hanno. Se ci sono tanti mi piace, l'italiano medio è portato a pensare che quello sia un sito serio e affidabile. Chissenefrega dei quotidiani, tanto ci pensa Studio Aperto a fare vera informazione ;)
Buona giornata.

kikkuzzo ha detto...

E' proprio quest'ultima prospettiva che hai delineato a farmi abbastanza paura...non per me eh, per chi ci crede davvero a quel tipo di informazione...che poi io ogni tanto S.A. lo vedo pure, ma so che cosa sto guardando in quel momento: il cervello ogni tanto ho bisogno di staccarlo anche io! :o)

Buonweekend!